domenica 21 marzo 2010

Tipi

Primo

Domenica scorsa non sapevamo bene che fare: una bella giornata di sole, tiepida e gentile, inaspettata dopo una settimana di pioggia e freddo. Eravamo già fuori con i bambini, e quindi mi è venuto naturale proporre a mia moglie: "andiamo a pranzare a Marina di Pisa". Ci fermiamo a una pizzeria al taglio e ci facciamo incartare qualche focaccina con cecina, quarti di pizza, schiacciatine. Poi andiamo a sederci sugli scogli a mangiare e a prendere il sole. Come si stava bene!

Dopo un po' sento una voce querula: "Matilde! Matilde! Vieni immediatissimamente qui!". Mi giro e vedo un minuscolo chihuahua a due metri da me che guarda fisso la mia focaccia, con sguardo speranzoso. Più in là una trentenne con occhiali da sole seduta su uno scoglio teneva ben stretta la cordicella attaccata al collare. Si era tolta la maglietta per prendere il sole, e se la teneva stretta al petto con l'altra mano; disteso accanto a lei, un fustacchione lampadato prendeva il sole indifferente agli eventi. Matilde tornò indietro a malincuore, poverina. Dopo qualche minuto passato al cellulare, i due si alzarono e si rivestirono, all'ultima moda naturalmente: pantaloni neri attillatissimi, giacchettino bianco lucido, gel sui capelli, occhiali da sole a specchio. Due perfetti "giovani" della media borghesia pisana, direi.

(Matilde? Immediatissimamente?)

Secondo
Al quarto giorno [...] comparve sulla spiaggia al seguito della famigliola un cane di piccola taglia. Pur dando fondo a tutta la fantasia, stento a descrivere la razza di questo animale. Era corto e basso, di pelo liscio, un po' maculato come se la pelle fosse stata stampata con la stoffa di una tuta mimetica. Aveva il muso appuntito e l'espressione strafottente. Non mi sarei stupito se avesse parlato e, naturalmente, bestemmiato. Un cane livornese, insomma.

Quella stessa mattina in cui il cane arrivò, me ne stavo disteso e ad occhi chiusi, quando d'improvviso una voce di donna strillò un ordine perentorio: "Buco di 'ulo, veni fori"; e subito dopo ancora: "Buo di 'ulo, t'ho detto di venì fori dall'acqua". Mi sembrò volgare apostrofare così un figlio - a chi altri potevo pensare ci si rivolgesse con quell'espressione? - e alzai la testa per dimostrare alla donna la mia tacita disapprovazione. Fu sbalorditivo, aprendo gli occhi, scoprire che Buo di'Ulo era in realtà il nome del cane. Proprio il nome vero, quello con il quale anche nei giorni seguenti tutti lo avrebbero chiamato, per rimproverarlo o anche vezzeggiarlo. E fu così che anch'io, con il passare dei giorni, presa dimestichezza con il cane, cominciai a chiamarlo con il suo nome, a tirargli i sassi in acqua e incitandolo: "Vai Buo di 'Ulo, vai!", sotto gli occhi compiaciuti dell'intera famiglia.
Renzo Castelli
Livorno vista da un Pisano


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