Uno dei punti più controversi della riforma Gelmini è l'abolizione della figura del ricercatore a tempo determinato, come lo conosciamo oggi.
L'ordinamento dell'università prevede tre scalini: ricercatore, professore associato, professore ordinario, in ordine di importanza.
A ogni gradino si accede per concorso. Se uno vince il concorso, e gli viene offerto un posto, allora rimane in prova per 3 anni. Dopo 3 anni, deve fare una relazione che viene valutata da una commissione ad hoc nominata dal ministero, e se la commissione è d'accordo, finalmente diventa di ruolo. In realtà, nel momento stesso in cui ci viene offerto il posto, si diventa dipendenti pubblici a tempo indeterminato. Se anche la commissione esprimesse parere negativo per ben due volte, non si potrà essere licenziati, ma solo destinati ad altri incarichi (ad esempio impiegati nell'amministrazione, o tecnici di laboratorio), a stipendio minore ovviamente.
Questa la situazione attuale.
Da tempo si parla di abolire la figura del ricercatore as it is. Cioè, di ridurre a 2 gli scalini, e sostituire il primo scalino con contratti a tempo determinato (d'ora in poi li chiamerò RTD). Ne cominciò a parlare la Moratti per prima, e con la solita apparente solerzia dei governi berlusconiani, sembrava cosa già fatta. Quindi, nel 2000, prima che entrasse in vigore la riforma, la Scuola Sant'Anna disse basta con i ricercatori a tempo indeterminato. Che poi, se non sono buoni, rimangono ricercatori a vita, e noi ce li dobbiamo tenere comunque. Siamo una scuola d'eccellenza, dobbiamo anticipare i tempi! Quindi, solo contratti di RTD.
Il primo contratto a tempo determinato in Italia (forse)
Giusto giusto, nel 2000 io e alcuni colleghi finivamo il perfezionamento (un equivalente del dottorato), e ci proposero un posto di RTD. Quindi, noi siamo probabilmente stati i primi ricercatori precari della storia dell'università italiana. Peccato che la figura ministeriale non esistesse ancora. "Questione di poco", diceva Masia dal ministero (o qualcun altro, non ricordo bene). Quindi, la Scuola Sant'Anna fece un concorso, per quanto possibile simile a quello di un ricercatore "vero", concorso in cui fui l'unico candidato (chissà perché). Alla vincita, mi offrirono un contratto 4+4 allo stessa progressione del TI. L'idea era: "8 anni dovrebbero essere più che sufficienti per vincere un concorso da associato da qualche parte, se sei bravo. Se no, finisce lì e amici come prima."
Io sono stato molto fortunato. Ho trovato un concorso non bloccato (ciò in cui non fossero tutti candidati locali ) all'Università di Padova. Ho vinto l'idoneità (meritatamente, credo, e anche il candidato locale, che poi locale non era, è molto in gamba). Quindi, dopo circa 5 anni di precariato, sono finalmente impiegato statale TI
Purtroppo, la Moratti fece la legge e mai i decreti attuativi, o qualcosa del genere. Insomma, per il MIUR ero un perfetto sconosciuto, all'Università di Pisa non volevano farmi fare i corsi, e tuttora non mi riconoscono l'anzianità di servizio per quegli anni. Ma questo è un altro discorso.
Vita da precario
Come si vive da RTD? Secondo me, abbastanza bene, a parte un piccolo problemuccio. I primi 4 anni li passai a lavorare duro. A fare concorsi non ci pensavo nemmeno. Dopo il primo rinnovo, cominciai ad avere un minimo di preoccupazione. "E se non trovo un concorso libero?", mi dicevo.
Perché come sapete, i concorsi locali sono spessissimo (anzi, praticamente sempre) banditi per i candidati locali. Se c'è a bando un posto, si fanno 2 idonei: uno viene chiamato per il posto, l'altro è libero di essere chiamato da altre università. In questa maniera, da un lato l'università locale si parava dal fatto che candidati "forti" potessero fare domanda e "disturbare" il candidato locale. Dall'altro, però, si dà un minimo di possibilità a chi merita di diventare almeno idoneo.
La mia preoccupazione era che, per quanto duro lavorassi, non sarei riuscito alla fine a vincere l'agognato concorso, e non per colpa mia. Era un timore fondato? Di quelli che sono diventati RTD alla Scuola Sant'Anna nel 2000-2001, alcuni molto in gamba non ce l'hanno fatta, e adesso sono all'estero, oppure con contratti di collaborazione, o a metà con altri istituti. Non era scontato vincere il posto in 8 anni, ve lo assicuro.
Insomma, secondo me i giovani non devono aver "paura" del contratto a tempo determinato per se. Il problema, infatti, sta nella prospettiva.
Da un lato, io ricercatore accetto la scommessa e faccio il RTD. Ma voi, università e ministero, mi dovete garantire che, se tutto va bene, alla fine del percorso c'è la luce. Che vuol dire, se tutto va bene? Se ho fatto abbastanza pubblicazioni, se sono stato in grado di coordinare gruppi di ricerca, se sono un bravo insegnante, ecc. Valutatemi, seriamente, ma valutatemi, perdiana, e datemi una possibilità!
La situazione USA
In USA, questo concetto si chiama tenure track. La tenure, secondo wikipedia, è la seguente cosa:
Tenure commonly refers to life tenure in a job and specifically to a senior academic's contractual right not to have their position terminated without just cause.In pratica, la tenure è il posto a tempo indeterminato, più o meno. L'università non può licenziare un tenure professor, senza una giusta causa, e ci sono pesanti restrizioni a licenziare in caso di problemi di bilancio.
La tenure track la spiego con l'esempio del mio collega: l'università dell'Illinois ha bisogno di rinforzare il dipartimento di informatica, settore "embedded systems". Quindi, fa una "call for tenure track position" in quel settore. Chi vuole partecipare manda il curriculum e lettere di raccomandazione. L'università ne seleziona alcuni (2-3 di solito) e li invita per un paio di giorni (di solito a spese dell'Università). Ogni candidato deve dare un talk, parlare con tutti i componenti del dipartimento, ecc. Poi si fa un'offerta. Se il candidato accetta, entra in una track (cioè un binario) che dura alcuni anni. Sono anni molto duri, durante i quali il candidato viene di solito messo alla prova sotto tutti i punti di vista. Dopo un esame finale, se tutto va bene, il candidato diventa tenure. Se il candidato non ce la fa, il contratto termina. Di solito ce la fa, ma non è raro che il candidato rinunci spontaneamente dopo un po' di tempo.
Notate: se l'università dell'Illinois apre una "call for tenure track position", mette a budget da subito il costo del tenure per tutti gli anni successivi! La promessa viene sempre mantenuta!
La legge Gelmini
Anche in Italia si parla di tenure track. Però, qui l'idea è abbastanza diversa. I ricercatori, dopo aver vinto un concorso, prendono un contratto TD 3+3. Quindi, solo 6 anni e non 8. Va beh.
Poi, per diventare professori, devono vincere l'abilitazione nazionale. La Gelmini promette di fare un concorso di abilitazione con cadenza annuale, ma ho spiegato come secondo me sia impossibile. Si rischia quindi che i 6 anni passino senza che ci sia la possibilità di abilitarsi (anche perché i primi anni servono a farsi il curriculum).
Infine, l'abilitazione dura 4 anni, e se nessuna Università ti chiama, si resta senza lavoro e senza abilitazione.
Se tutto andasse bene, cioè:
- se l'abilitazione fosse effettivamente annuale;
- se ci fosse un mercato della ricerca (pubblica e privata) piuttosto ricco e dinamico;
Inoltre, questa non è una tenure track. Infatti, non c'è alcuna garanzia di diventare professori scritta da nessuna parte! E' solo un percorso più flessibile del precedente, che permette di fare un ricambio più veloce della classe dei ricercatori, evitando i "ricercatori a vita" (cioè ricercatori di 60 anni, che purtroppo ancora esistono).
Paradossalmente, il tenure track ci sarebbe già nell'università italiana, ed è la conferma doipo i 3 anni! Peccato che sia una buffonata, e che i casi di non conferma in ruolo in Italia si contino sulle dita di una sola mano. Perché? Non mi fate ripetere sempre le stesse cose.
Conclusioni
Quindi? La riforma è appena al principio, e bisogna agire più in profondità se si vuole arrivare da qualche parte. Ve lo dice uno che ci è già passato attraverso il "tenure track" de noantri.
"secondo me i giovani non devono aver "paura" del contratto a tempo determinato per se. Il problema, infatti, sta nella prospettiva"
RispondiElimina"se ci fosse un mercato della ricerca (pubblica e privata) piuttosto ricco e dinamico"
vogliamo aprire una discussione sul perché la carriera standard in Italia sia: laurea (adesso 3 e poi 2), dottorato, assegno di ricerca, ricercatore, prof. ass, prof ord tutto nella stessa università? E sul perché nessuno ci trovi niente di strano?
io credo che il problema nasca, sì, da leggi inadatte, ma si alimenta di una mentalità chiusa e provinciale che quelle leggi le accetta, o al massimo le sopporta silenziosamente.
insomma, la "bottom line: è: sì, l'università è conservativa (vedi tuo commento nell'altro post. a proposito, 10+ alla tua proposta).
alessandro
Eh, mi fai venire in mente il discorso di un accademico a me vicino (anche se non molto amato) che una volta ci disse qualcosa come:
RispondiElimina"In Italia ci sono due istituzioni davvero tradizionaliste: l'Università e la Chiesa Cattolica. In entrambe vige la regola dell'obbedienza assoluta".
Il fatto è che, guardando spesso al di là della manica e al di la dell'oceano, ci scordiamo che nei paesi anglosassoni le università hanno una matrice "liberal" e liberale, mentre in Europa hanno una matrice "istituzionale" molto forte, sin dai tempi del medioevo.
Ma prima o poi, tutto questo cambierà! Solo spero di vederlo prima di tirare la cuoia!
Consiglio a chi scrive di sorvegliare la sua grafia: non si scrive TUTT'ORA, ma TUTTORA; non si scrive UN'ALTRO, bensì UN ALTRO. Mi sono fermato lì, ma probabilmente leggendo oltre avrei trovato altri errori. Forse la ministra Gelmini dovrebbe rendere obbligatori corsi di ortografia.
RispondiEliminaGrazie per le correzioni. In effetti un corso di ortografia non mi farebbe male dopo tutti questi anni! :)
RispondiEliminaIn realtà una Tenure Track nella riforma c'è (anche se è scritta in leggese..): infatti sono previsti 2 tipi di contratti, un contratto TT di 3 anni, non rinnovabile e al cui termine se si passa la valutazione si diventa associati; i fondi per diventare associati vengono accantonati nel bilancio di previsione.
RispondiEliminaA questo contratto TT di 3 anni si può accedere dopo il dottorato se si è abilitati e se si cambia univerità, altrimenti se si rimane bnella stessa università bisogna prima aver fatto un contratto non-TT da max.5 anni.
Anche negli stati uniti esistono contratti non-TT (la metà dei posti di ricerca sono coperti da contratti non-TT, e molte università fanno contratti non-TT per poi trasformarli in TT quando hanno i soldi..).
Della riforma piuttosto vedo due criticità: non è previsto un passaggio da contratto non-TT a TT e nel mondo produttivo italiano un dottorato non consta niente, quindi aver fatto dei contratti non-TT a termine, dopo i quali devi per forza cambiare università (provvedimento di cui comunque capisco il Razionale e che non è sbagliato a priori..) non è molto adatto alla situazione italiana.
Un'altro problema di cui non si parla mai è la coda:
RispondiEliminala situazione oggi non è poi così malaccio in teoria. Uno fa il dottorato, ha lavorato bene vince un bando da ricercatore a td, è tranquillo per un po' di anni (certamente meglio che per i 12 mesi di un assegno di ricerca) e la tranquillità gli permettere di prendere un'idoneità e venire assunto...
Situazione vera: uno finisce il dottorato, va a fare un concorso per ricercatore a td e si trova davanti la coda di chi fino ad oggi è andato avanti ad assegni (che adessso non ci saranno più) che per quanto scarso nella ricerca si spera abbia prodotto di più di un buon dottorando. Riesce ad entrare? dopo qualche anno prova a vincere l'agognato posto indeterminato e... c'è la coda di quelli che da anni sono ricercatori ti che vogliono far carriera...
@sofia: sì, c'è la coda e dipende anche dal fatto che il ministero ha tagliato le risorse e sospeso i concorsi, per cui c'è un tappo gigantesco. Poi nel casino del tappo magari passano avanti i mediocri, e quindi la situazione è ancora peggiore.
RispondiEliminaPerò non è sempre così: nel mio settore (ingegneria) non c'è nessun tappo per diventare TD. Semmai il problema è dopo, da TD ad assunzione (a proposito, gli assegni ci sono ancora, sono state abolite le borse di post-doc).
La legge Gelmini prevede un'abilitazione nazionale, a cui probabilmente passeranno quasi tutti e saranno esclusi soltanto i pessimi, e poi chi verrà preso lo deciderà la singola Università (quindi i mediocri potranno ancora una volta scavalcare i migliori).
Non riesco proprio a capire tutti questi ricercatori assegnisti (ancorché precari) eccetera che si lamentano. C'è chi con un dottorato e novanta pubblicazioni su riviste accreditate finisce ad insegnare alle superiori. E vi assicuro che è triste. Quelli che dicono che insegnare alle superiori è bellissimo in genere fanno altri lavori.
RispondiEliminaA proposito di ortografia: correggi "qualcunaltro" e "in ganba" (quest'ultimo, peraltro, chiaramente errore di battitura).
Caro Anonimo, non ho capito bene cosa non hai capito. Se c'è qualcuno che con 90 pubblicazioni "accreditate" (qualunque cosa voglia dire), finisce a fare il docente delle superiori e non per sua scelta, spero sia un caso isolato. Perché se non lo fosse, allora dovremmo preoccuparci seriamente e lamentarci anche forte tutti insieme, non credi?
Elimina(grazie per la segnalazione degli errori)
Forse non è un caso isolato. Di sicuro è desueto.
RispondiEliminaDifficile che uno scelga di finire alle superiori.
Intendevo dire (non osavo dirlo, per paura di essere mandato al diavolo) che è meglio fare il ricercatore precario che finire in mezzo ad una massa di ragazzetti idioti.
I ricercatori precari mi diranno che bisogna pur vivere. Ma allora potrebbero andare ad insegnare alle superiori anche loro. E rimpiangerebbero i tempi in cui erano ricercatori precari. E anche i periodi in cui non facevano assolutamente nulla.
Questo a meno che non siano assolutamente alla fame. Da cui comunque non usciranno grazie a uno stipendio da insegnante.
Per pubblicazioni accreditate intendevo pubblicazioni su riviste di riconosciuto valore.