sabato 14 luglio 2012

Positive feedback

Metto qui due riflessioni a mo' di note personali, per ordinare le idee: si tratta di quello che io ho capito della crisi finanziaria, quello che mi gira in testa da un po' di tempo su cause ed effetti. Vediamo se siete d'accordo, commentate pure qui sotto se volete/potete.

LA CRISI

Chi lo sa come e perché sia cominciata la crisi, a me personalmente non interessa molto in questo momento. Quello che mi interessa è descrivere la situazione senza uscita in cui ci troviamo.

In pratica, tutti gli stati nazionali finanziano le proprie spese con titoli di stato. Se d'improvviso, se di punto in bianco nessuno comprasse più titoli, lo stato non sarebbe in grado di onorare i propri impegni di spesa, a cominciare dagli stipendi dei dipendenti pubblici, le pensioni, ecc. E non sto parlando solo dell'Italia, o dei PIGS: qualunque stato si troverebbe in grossa difficoltà di fronte a una situazione del genere, compresa la "virtuosa" Germania, gli USA e la Cina. Quindi:


Proposizione: le economie dei paesi dell'occidente dipendono in maniera fondamentale dalla vendita dei propri titoli di stato. Senza di essi, non sarebbero in grado di onorare i propri impegni di spesa.

Lo stato deve vendere questi titoli per acquisire liquidità e poter spendere, non c'è via d'uscita. Altre entrate sono naturalmente le tasse, che sono proporzionali (più o meno) al Prodotto Interno Lordo, che è una misura della ricchezza prodotta nel paese (più o meno). Quindi,

tasse + ricavato vendita titoli = entrate (più o meno).

Le uscite di uno stato invece sono le spese (stipendi, pensioni, consumi, ecc.) e la restituzione dei vecchi titoli più gli interessi nel frattempo maturati.

spesa + restituzione debito + interessi maturati = uscite (più o meno)

Se entrate > uscite, siamo in un circolo virtuoso, possiamo mettere qualcosa da parte, e magari la prossima volta avremo bisogno di vendere meno titoli. Se entrate < uscite, siamo in debito, e la prossima volta avremo bisogno di vendere più titoli. Più o meno.


Naturalmente, il tasso di interesse non lo decide lo stato, ma è una variabile esogena che dipende da una fantomatica "fiducia" dei mercati finanziari. Qualunque cosa essa voglia dire. Gli economisti ci dicono che l'interesse dipende in qualche modo dal rischio: se il compratore considera l'investimento rischioso (cioè che ci sia una probabilità non nulla che lo stato fallisca e non restituisca i soldi), allora chiede un interesse più alto.  In qualche modo, quindi, l'interesse è proporzionale al rischio di fallimento. Più o meno, perché poi ci sono probabilmente altri fattori caotici che influenzano questa maledetta fiducia dei mercati.

Proposizione: uno stato deve cercare di piazzare il propri titoli al tasso di interesse più basso possibile, per evitare di entrare in un circolo vizioso di aumento delle uscite rispetto alle entrate.

RETROAZIONE

All'università si studiano la "Teoria dei Sistemi" e i "Sistemi di Controllo" che insegnano a descrivere matematicamente il comportamento dei sistemi dinamici. Di solito si studiano principalmente sistemi elettronici, elettrici o meccanici, le loro proprietà dinamiche e soprattutto il modo in cui evolvono quando sono sottoposti a stimoli. Lo scopo è studiare come sia possibile controllare un sistema, manipolando della variabili di ingresso, per fare in modo che il sistema stesso si comporti come vogliamo noi.

I sistemi a retroazione (feedback d'ora in poi, e non me ne vogliano gli italianisti) hanno la particolarità che una o più variabili del sistema vengono misurata ed "retro-azionate" nel sistema per decidere come manipolare gli ingressi.

L'esempio classico è quello del termostato dello scaldabagno è l'esempio più semplice. Normalmente, l'acqua tende a portarsi alla temperatura esterna. Se la vogliamo portare a una temperatura più alta dobbiamo accendere lo scaldabagno; se vogliamo mantenerla sempre vicina a una certa temperatura desiderata, dobbiamo misurare continuamente la temperatura, e quando scende al di sotto di un certo livello lo scaldabagno si accende, quando sale al di sopra di un'altra soglia lo scaldabagno si spegne. 


Il sistema dinamico in questione è l'acqua dentro il boiler. Il controllore è l'insieme del termostato e della resistenza. Supponiamo che ad un certo istante si trovi ad una certa temperatura T (ad esempio 40 gradi), che la temperatura esterna sia T0 (per esempio 20 gradi). Se lo scaldabagno è spento La variazione della temperatura nel tempo è proporzionale alla differenza di temperatura:

  dT / dt  = a(T0 - T)

dove a è un parametro che rappresenta l'isolamento del boiler. Questa equazione rappresenta l'evoluzione libera del sistema, che se non controlliamo, fa quello che gli parte, cioè evolve naturalmente verso una situazione in cui T = T0. 


Se accendiamo la resistenza dello scaldabagno, invece, sarà pari approssimativamente a 

  dT / dt = a(T0 - T) + b (T1 - T)

dove T1 è la temperatura che raggiunge la resistenza (ad esempio 100 gradi), e b è un parametro che rappresenta la conduzione di calore tra il termostato l'acqua. Questo è l'evoluzione del sistema dopo aver "forzato" un ingresso (abbiamo acceso la resistenza elettrica).

Un controllore automatico manipola l'ingresso in modo da ottenere l'effetto desiderato (ad esempio fare in modo che la temperatura oscilli intorno  ai 37 gradi). (Naturalmente, questo sistema è così semplice che quasi mi vergogno ad averlo spiegato, scusate). 

I controlli automatici sono ormai dappertutto: la vostra automobile, ormai, ha diversi controllori elettronici a bordo: il controllore dell'iniezione (la famosa centralina elettronica che se si scassa sono guai), l'ABS, l'ESP, ecc. In tutti questi casi, ingegneri controllisti hanno speso mesi o anni a modellare il comportamento del sistema dinamico (ad esempio il motore a 4 tempi), e a studiare algoritmi di controllo (ad esempio per risparmiare sul consumo di carburante, o inquinare meno, e poter quindi rientrare nelle restrittive regole europee per il mercato delle automobili). Controlli automatici si trovano nella vostra lavatrice, nel vostro stereo, sugli aerei, ecc. Tali sistemi sono tutt'altro che semplici, come lo scaldabagno: si tratta spesso di sistemi non lineari che richiedono tecniche di controllo molto sofisticate, e molta molta matematica. 

SISTEMI ECONOMICI

I controllisti si occupano principalmente di sistemi inanimati. Non sono in molti ad essersi occupati di sistemi sociali. A questo proposito, se volete saperne qualcosa in più vi consiglio il libro di Donella Meadows, "Thinking in Systems: a Primer". L'autrice, purtroppo venuta a mancare qualche anno fa, ha fatto parte insieme al marito Dennis Meadows del gruppo di ricerca dell'MIT che ha elaborato la famosa teoria del "picco del petrolio", descritta nel famoso e controverso libro "Limits to Growth". Se invece volete un'introduzione veloce, potete partire dalla pagina di Wikipedia

In Thinking in Systems, l'autrice si sfoga un pochino lamentando come molti economisti "classici" siano restii ad adottare tecniche dinamiche nello studio dei sistemi sociali. Che infatti raramente si comportano linearmente come un semplice scaldabagno. Inoltre, spesso contengono elementi non completamente controllabili dovuti alla natura umana. C'è poi un problema aggiuntivo: mentre è possibile sperimentare con un motore a scoppio in maniera da costruire un modello dinamico accurato (nella teoria dei controlli di parla di "identificare" il modello), è impossibile sperimentare con un sistema economico e modellarlo in maniera esatta: l'unica cosa che possiamo fare è imparare dagli avvenimenti passati nella speranza di aver abbastanza dati da poter catturare tutti i comportamenti dinamici fondamentali.  


In ogni caso, tentar non nuoce, e la scienza dei sistemi dinamici ha molte frecce al suo arco per poter modellizzare (scusate la parolaccia) sistemi dinamici complessi come quelli economici. Non è detto però che sia in grado di produrre soluzioni semplici ai problemi. 

LA CRISI ATTUALE

Se considerassimo uno stato e la sua situazione economica come un sistema dinamico, probabilmente potremmo cominciare a capire meglio alcune dinamiche: senza pretesa di fare previsioni esatte, naturalmente, solo di capire un po' meglio che sta succedendo. Innanzitutto cerchiamo di delimitare il sistema: il nostro sistema è uno stato sovrano come l'Italia. Consideriamo i mercati e gli altri stati, invece, come agenti esterni al sistema.

Quali sono le variabili manipolabili direttamente da un governo? sicuramente il livello di tassazione e il livello di spesa. Molto più difficile è manipolare direttamente il PIL: c'è un effetto diretto tra spesa pubblica e PIL, perché quest'ultima include anche i livelli di spesa. Però il PIL dipende anche da tante altre cose, solo indirettamente influenzabili da un governo, e purtroppo piuttosto impalpabili, come ad esempio il livello di "libertà imprenditoriale", la facilità di fare impresa, l'accesso ai mercati, il livello di innovazione, etc. Infine, il PIL è influenzato da variabili indipendenti (o quasi), come lo stato economico degli altri paesi, e quindi l'import/export, i tassi di interesse a livello europeo, etc. Alcune grandezze sono poi quasi del tutto al di fuori del controllo di un governo, come i tassi di interesse a cui riesce a piazzare i titoli, che dipendono da una fantomatica "fiducia dei mercati", che vuol dire tutto e niente.

Il sistema  ha diversi livelli di retroazione, molti dei quali sono molto pericolosi perché tendono a ingigantire alcuni effetti perniciosi. Si parla di "circolo virtuoso" o di "circolo vizioso": il primo è un meccanismo di feedback interno al sistema che tende a stabilizzarlo; il secondo è un meccanismo di feedback che tende a de-stabilizzarlo.

Vediamo un esempio attuale. Il governo è in passivo (entrate < uscite) quindi deve agire o sul versante delle entrate (più tasse) o su quello delle uscite (meno spese). Nel primo caso, aumentare le tasse ha un effetto negativo sul PIL, quindi è un'arma a doppio taglio: se si aumenta la percentuale di prelievo dal PIL ma diminuisce il PIL le entrate potrebbero calare! Tutti dipende al livello attuale, da quanto il PIL sia influenzato dalle tasse, ecc. L'equazione sottostante è probabilmente molto complessa e con molte variabili.

Se taglia la spesa non è detto che vada meglio: infatti, tagliando la spesa si riduce in parte il PIL. Ad esempio, licenziando delle persone, in una situazione di crisi queste avranno difficoltà a trovare un nuovo lavoro; per cui ridurranno drasticamente le loro spese, ad esempio comprando meno; a questo punto però si riduce la dimensione del mercato interno, causando crisi nelle aziende produttrici di quei prodotti che la gente non compra più, con nuovi disoccupati, ecc. Tagliare in tempi di vacche grasse, invece, potrebbe essere meno grave; la persona licenziata avrebbe più probabilità di trovare un nuovo lavoro e continuare a consumare.


Questo è quello che diceva Keynes, più o meno: converrebbe tagliare la spesa pubblica in tempi di vacche grasse, e aumentarla in tempi di vacche magre, per sostenere l'economia. Ma sembra che Keynes non vada molto di moda ultimamente... 

C'è un ulteriore problema, più grave. Se si tagliano le spese, e si deprime il PIL, si riducono anche le entrate; per cui non è detto che si riesca a riportare la bilancia in attivo, cioè a fare in modo che le entrate superino le uscite; in particolare, se un analista di mercato assiste a politiche di questo genere probabilmente stabilirà che la crisi continuerà, che il debito aumenterà, e che quindi corrispondentemente, aumenterà il rischio che lo stato non sia in grado di onorare i propri debiti nel futuro.

È quello che ha detto l'agenzia di rating Moody ieri (e con la Spagna ci andrà giù ancora più pesantemente). Penso che da Moody's abbiano un modellino dinamico dell'economia di un paese, mettano dentro i numeri, aggiornino i parametri, e facciano una simulazione dell'andamento futuro. Che significa "abbiamo fatto i sacrifici, abbiamo fatto i compiti a casa?". Moody's guarda il modello dinamico che si è costruita internamente, prevede che la situazione peggiorerà, quindi abbassa il rating. Non è lì per giudicare il nostro comportamento "morale"!


E abbassando il rating, influenza i compratori di titoli, siano essi speculatori e non (ma soprattutto i non speculatori). E quindi si alzerà il tasso di interesse, peggiorando ulteriormente la situazione. Tagliare troppo la spesa, quindi, equivale a una azione di "positive feedback": se l'output del sistema sta andando in una direzione (aumenta il divario tra uscite ed entrate), l'azione di controllo (tagliare la spesa) fa andare l'output nella stessa direzione, ovvero contribuisce ad aumentare questo divario. 

LA MORALE

Ma allora Moody's non c'entra niente? Non sono "cattivi"? Fanno solo il loro mestiere e basta?

Aspettate, io non sono un moralista, mai applicato giudizi morali come "buoni", "cattivi", "spendaccioni", "fannulloni", meno che mai ad interi stati. Spesso sono proprio gli economisti (liberisti e di destra) che nel cercare di spiegarci quello che secondo loro non va, usano giudizi morali, già nel nome che danno alle cose. Chiamare i paesi in sofferenza "PIGS" è implicitamente un giudizio morale su degli interi paesi e popolazioni inermi che hanno subito un sistema non interamente sotto il loro controllo. Viceversa, i cosiddetti paesi "virtuosi" che puntano il ditino moralista non sempre si sono comportati in maniera impeccabile nel passato. Ho letto un post, in un famoso blog collettivo di economia (che non citerò), in cui si spiegava metaforicamente come il nostro paese sarebbe formato da bambini viziati, che vanno "sculacciati" dai tedeschi per i loro capricci. Ridicolo.

Tornano a Moody's, è buona o cattiva? Ma nessuna delle due naturalmente. È solo un agente più o meno razionale (*) nel caotico sistema dinamico non lineare che chiamiamo "economia mondiale". Gli analisti di Moody's pensano di essere razionali, applicano il modello, tirano fuori i risultati, abbassano il rating. Così facendo, contribuiscono a rendere vera la loro profezia. Essi quindi fanno parte del modello!

Immaginiamo per un istante che il loro modello sia sbagliato: essi prevedono un peggioramento, mentre nella realtà ci sarebbe un miglioramento; beh, con il loro errore, causerebbero un peggioramento, avverando la previsione. Il modello errato entra dunque a far parte del sistema che vuole modellare! Supponiamo invece che il modello sia sbagliato al contrario. Nella realtà ci sarebbe un peggioramento, mentre il loro modello prevederebbe un miglioramento. Se alzassero il rating, potrebbero contribuire ad abbassare i tassi di interesse, e quindi potrebbero contribuire a migliorare la situazione! Anche in questo caso, il modello farebbe parte del sistema. Chissà se il loro modello tiene contro dell'effetto dei loro stessi giudizi... 


Ma in realtà è molto più complicato (e allo stesso tempo più caotico) di così. Innanzitutto, non è affatto detto che le agenzie di rating abbiano un effetto diretto sui mercati. Per esempio, molte grandi banche d'affari hanno i loro modelli, e fanno le previsioni per conto loro. E poi le comparano con quelle delle agenzie di rating. Se sono tutti d'accordo, forse è perché è davvero così, o forse perché si influenzano a vicenda (schiere di matematici a costruire modelli economici, ve li immaginate?). Inoltre, accade spessissimo che il mercato anticipi il giudizio delle agenzie, che poi si limitano a ratificare quello che è il giudizio condiviso dagli operatori finanziari. In questo caso forse c'è un'inversione: il giudizio delle agenzie è l'effetto dei comportamenti dei mercati, e non il contrario. 

COSA SI FA ADESSO?

Come abbiamo fatto noi, razza umana, a mettere i nostri destini nelle mani di un sistema non-lineare, caotico, pieno di feedback positivi? Ma perché l'abbiamo fatto? Si poteva fare diversamente?

A breve termine ci è sembrata una buona idea, evidentemente: il capitalismo, i mercati finanziari, l'euro, la globalizzazione, a breve termine sembravano dei meccanismi utili al progresso dell'umanità. Ci guadagnavamo, ci abbiamo guadagnato collettivamente per un bel po'. Ma a lungo termine siamo finiti in un cul de sac e ci siamo quasi del tutto intrappolati da soli. Ne usciremo? forse, ma la sensazione è che non sarà affatto indolore, qualunque soluzione abbiate in mente. 

Che ne pensate?


(*) Gli economisti spesso nei loro modelli fanno l'assunzione che gli agenti economici sarebbero perfettamente razionali, ma a me è sempre sembrata un'enorme cavolata.

13 commenti:

  1. Innanzitutto grazie di aver pubblicato e condiviso questi pensieri: mostri che è possibile assumere una posizione "diacronica" della situazione per vederla nel suo complesso e non nel precipizio del presente.
    Riguardo alla tua affermazione «Come abbiamo fatto noi, razza umana, a mettere i nostri destini nelle mani di un sistema non-lineare, caotico, pieno di feedback positivi? Ma perché l'abbiamo fatto? Si poteva fare diversamente?» provo a rispondere, sinteticamente. È una questione di potere, ovvero di quale "classe" di umani è al potere. Ai capitalisti questa situazione va benissimo perché schiavizza la politica ai loro interessi. È un dato di fatto. Per uscirne va ripreso Marx, non per avere una dittatura del proletariato, certo - ma per riattualizzarlo al nostro presente. Come l'idea pericolosa di Darwin trovò conferme mediante la genetica mendeliana (sintesi moderna), così andrebbe trovato il modo di non disperdere la critica del sistema capitalistico operata da Marx.

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    1. Grazie Luca. Purtroppo non ho mai letto Marx, per mancanza di tempo e/o di voglia, e ultimamente il mio tempo libero è sempre minore! Da quel poco che so, da altri pensatori critici nei suoi confronti, la teoria marxista andrebbe ripensata un po'. Hai mica qualcosa del tipo "Marx a dispense" da consigliare? :)

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  2. "Se entrate < uscite, siamo in un circolo virtuoso, possiamo mettere qualcosa da parte, e magari la prossima volta avremo bisogno di vendere meno titoli. Se entrate > uscite, siamo in debito, e la prossima volta avremo bisogno di vendere più titoli. Più o meno."
    Mi pare che i simboli > e < siano invertiti.

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  3. Per un approccio non lineare alle tematiche dell'economia:
    http://hp.gredeg.cnrs.fr/Alfredo_Medio/pubblicazioni_en.htm

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    1. Grazie lector, metto nel cumulo della roba arretrata da leggere... :)

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  4. Grazie per il contributo. Certamente si è perso un po' l'obiettivo finale, se mai c'è stato ed è stato chiaro questo obiettivo. Non è facile infatti definire il concetto di "felicità" e "realizzazione", mentre i soldi sono un indice misurabile e comprensibile da tutti. Se si trovasse qualcosa di altrettanto facile e su cui possiamo essere tutti d'accordo...

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  5. In linea di massima concordo. Sul fatto che i keynesiani siano scomparsi, un o' meno, anzi mi pare che escano fuori come i funghi. Assolutamente plausibili. L'unica cosa che mi preoccupa è che al partito neokeynesiano si siano iscritti immediatamente tutti i politici delle vecchia guardia. E' quel luccichio lubrico che hanno negli occhi quando parlano di aumentare la spesa pubblica che mi fa paura.

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    1. I politici si iscrivono al partito che gli conviene, di volta in volta, stavolta sono tutti keynesiani. Tra gli economisti è diverso, ed effettivamente mi fa parecchia specie che anche Zingales, scuola di Chicago, abbia cominciato a dire che forse questa stretta fiscale non è stata una buona idea. Vedremo come finirà...

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  6. Ma se una famiglia che guadagna 50 mila euro l'anno ha debiti per 60 mila euro e continua a spendere ogni anno tutto quello che guadagna e, di più, continua ancora a chiedere altri prestiti per duemila euro ogni anno... ma in una situazione del genere, cosa si deve pensare di un'analisi della situazione in termini di stabilità di un sistema dinamico?!?

    http://hronir.blogspot.it/2012/07/la-comodissima-verita-sui-prestiti.html

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    1. Ciao, ti ho risposto di la sulla faccenda dei titoli. Di qua ti dico:

      1) Chiaro che c'è un peccato originale. Siamo finiti qui perché qualcuno nel passato ha scialato. All'inizio del post ho detto: "Chi lo sa come e perché sia cominciata la crisi, a me personalmente non interessa molto in questo momento. Quello che mi interessa è descrivere la situazione senza uscita in cui ci troviamo."

      Ecco, so che c'è stato un peccato originale, ho preferito non concentrarmi su quello nel post, se no il tono si sarebbe inacidito parecchio. Neanche a me piace un'economia a debito, e il nostro debito è enorme, incredibile, ed è cresciuto mostruosamente negli ultimi anni.

      Quello che volevo fare nel post è un'analisi dell'oggi. In questo senso, ecco che viene il punto 2.

      2) Il parallelo con la famiglia non regge. Perché la famiglia può permettersi di ridurre le spese (meno vacanze, meno vestiti, vendita di un automobile e uso dei mezzi, ecc.) senza sostanzialmente influenzare le entrate, mentre uno stato no.

      Mettiamo che la famiglia abbia contratto un mutuo a tasso variabile. Ha fatto i calcoli, al 4% ce la faceva a chiudere il bilancio mensile in leggero attivo. Dopodichè sono aumentati i tassi al 10%. La famiglia rischia la bancarotta, quindi taglia le spese, rinegozia il mutuo, si porta in una situazione di bilancio in pareggio e senza toccare le entrate.

      Ma uno stato invece ha questo problema che le tasse sono in proporzione sul PIL, il quale è influenzato in parte dalla spesa pubblica. Quanto in parte? qui sta tutto il problema: se facendo un taglio le spese diminuiscono più di quanto non diminuiscano le entrate, posso assorbire almeno in parte l'aumento dei tassi; se invece diminuiscono di più delle entrate, non solo non assorbo un bel nulla, ma faccio peggio. Siamo nel caso virtuoso o nel caso vizioso? Chi lo sa, qui entrano i modelli che ho descritto, più o meno accurati, ma tutti prevedono caduta libera per il PIL. Quindi, secondo me siamo in una situazione senza uscita. A meno che non intervenga una forza esterna (l'Europa?) per calmierare i tassi, e permetterci in qualche modo di rientrare in positivo.

      Spero che adesso concorderai che questa è una descrizione abbastanza fedele della situazione. E se non concordi, scrivi pure le tue perplessità che magari arrivi a convincermi (io mi convinco facilmente di fronte ad argomenti razionali!).

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    2. Ah, questi miracolosi moltiplicatori keynesiani...

      Guarda comunque che il paragone con la famiglia regge benissimo, perché anche la famiglia può decidere di indebitarsi per aumentare il proprio reddito: acquistare un'auto che permette di fare un lavoro impossibile altrimenti (chessò, per fare il tassista): se riduco le spese e non compro più l'auto, addio stipendio e addio entrate.

      Però, vedi, stiamo appunto parlando di una spesa finalizzata ad un investimento, fatta su un calcolo di ritorno più o meno preciso (e che può benissimo fallire, per esempio perché il guadagno come tassista non è sufficiente a ripagare il debito contratto per pagare l'auto, etc etc.). L'indebitamento è motivato da un investimento.
      Ma se una spesa è una spesa di consumo, è difficile pensare che aumentando i consumi io possa aumentare i guadagni.

      E direi che col PIL è esattamente la stessa cosa. Se lo Stato credesse, a un certo punto, che, chessò, un'autostrada possa aumentare la produttività del paese, potrebbe anche essere legittimato ad indebitarsi per costruire quell'infrastruttura (sto dimenticando, per amor di discussione, i miei principi libertari). Ma, come nel caso della famiglia, il debito dovrebbe avere un piano di ammortamento: chiaramente appena l'autostrada sarà finita non avrò subito i soldi per ripagare il debito, ma dovrò mettere in conto un piano di ammortamento, chessò, 10 anni? dopo il quale mi aspetto di rientrare di quel debito contratto per fare l'autostrada. Se invece l'indebitamento pubblico è motivato prevalentemente da spesa senza ritorno, come le spese di consumo di una famiglia, e ha non alcun piano di ammortamento che preveda l'estinzione di quel particolare indebitamento per investimento, allora con il modello dinamico, perdona il tono, ci stiamo prendendo in giro.

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  7. Dimenticavo: c'è un aspetto, invece, per cui il paragone stato-famiglia non regge: se io mi indebito (for whatever reason), sto impegnando il me stesso futuro per il pagamento di quel debito, e non i miei figli (che possono rigettare l'eredità del debito); al contrario quando lo stato si indebita, sobbarca le generazioni future del peso di quel debito (senza peraltro interpellarle, ma lo stato fa così per qualsiasi cosa del resto...).
    Questo rende l'indebitamento statale significativamente diverso dell'indebitamento privato e, fosse anche per apparentemente legittimi motivi di investimenti infrastrutturali, a voler concedere il beneficio del dubbio, lo rende uno strumento moralmente, quantomeno, delicato.

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