mercoledì 8 dicembre 2010

L'Università che vorrei - 2

Si dice in giro che, se la riforma non arrivasse in porto, sarebbe il disastro completo e l'università resterebbe ferma per sempre nello stato attuale, non si potrebbero espletare ulteriori concorsi, soprattutto non si potrebbe applicare alcun metodo meritocratico di assegnazione di fondi.

Sono le solite mistificazioni, dispiace siano proposte da persone molto intelligenti e stimate. Prendiamo per esempio il problema della valutazione delle università e della distribuzione meritocratica dei fondi.

Come è adesso 
Lo scorso anno la Gelmini ha distribuito una piccola parte dei fondi all'università (il cosidetto FFO, fondo di finanziamento ordinario) in base agli esiti della valutazione CIVR avvenuta un bel po' di anni fa. Se non sbaglio, è stato la metà del 7% del FFO a essere distribuito sul risultato del CIVR (vi prego di correggermi se ho detto una cappellata). Era una piccola parte, d'accordo, ma il ministro dovette agire in maniera piuttosto decisa e con mossa a sorpresa, forzando la mano, perché naturalmente la maggior parte dei rettori non era d'accordo. Si trattava di poca cosa, d'accordo. I criteri scelti erano discutibili, vero. Però è stato un primo significatvo passo, a cui non posso che applaudire, perché era nella direzione giusta. Complimenti quindi al ministro per il coraggio mostrato.

La riforma
A mio parere però, questo vuol dire che non c'è bisogno di alcuna riforma per fare questa cosa. Il ministro è riuscita a realizzarla prima della cosidetta riforma epocale. La riforma poi, durante i vari passaggi, è risultata alquanto ballerina su questo punto: si parlava del 15%, poi del 7%, addirittura ad un certo punto del 3% dell'FFO da distribuire merocraticamente. Non so quale sia l'ultima lettura alla camera, e non mi interessa. Quello che mi preme rilevare è che non era necessario scrivere nero su bianco un numerino, e che averlo fatto su una legge contestata è stato un errore politico, perché era chiaro che nei vari passaggi la lobby dei professori universitari avrebbe provato a farlo scendere. 

Se si poteva farlo anche prima della riforma, si potrà continuare a farlo anche nel caso in cui la riforma non passi. Io preferisco tanti piccoli passi verso una riforma di fatto, piuttosto che una legge contestata e contestabile con alte probabilità di fallimento.

La valutazione
E' anche chiaro che il punto è un'altro. Come avviene la valutazione? Per ora ci si è appoggiati al CIVR, che riguarda gli anni 2001-2003, quindi ormai più di 7 anni fa! Non sarebbe il caso di rifare la valutazione?
Sembra che le procedure siano state avviate, ed affidate al Prof. Cuccurullo. Ne ho parlato qui. Sembrava tutto dovesse cominciare a settembre, ma ad oggi, dicembre 2010, non se ne sa ancora niente. Perché?
Per non parlare dell'ANVUR, la nascente agenzia della valutazione, sempre di là da venire. Le idee sembrano essere molto confuse, perché sul tema della valutazione la riforma dice ben poco e rimanda tutto ai decreti attuativi.

Sulla parte tecnica della valutazione, non credo di essere il più esperto o il più qualificato ad esprimermi: vi rimando a questo ottimo blog sull'argomento se volete farvi una cultura.

Ancora una volta mi preme sottolineare che la riforma era tutt'altro che necessaria, dato che si limita ad esprimere concetti lapalissiani. Da qui:
Da parte di molti commentatori, e dello stesso Ministro proponente, si è più volte sottolineato che questa legge introdurrebbe il “merito” e la “valutazione” nell’Università italiana, e costituirebbe pertanto una riforma necessaria e indifferibile. Senz’altro nel testo della legge si fa menzione molte volte di questi concetti: per 47 volte compare la parola “valutazione” (più una volta “valutare”, tre volte “valorizzazione”, ed una “valorizzare”), per 18 volte “ANVUR”, per 15 volte “qualità” e per 14 “merito” - a dire il vero in alcune occorrenze con il significato particolare di “tema, oggetto” -, con un contorno abbondante anche di “efficienza”, “efficacia”, e via discorrendo. Inoltre è anche prevista una specifica delega «in materia di interventi per la qualità e l’efficienza del sistema universitario».
Che questa facondia celi una sostanziale incomprensione di fondo della teoria e della prassi della valutazione dell’istruzione superiore e della ricerca è molto più di un sospetto - o di un complotto.[...]
E quindi, sembra che il vero problema, il nocciolo della questione, sia ancora da risolvere. Ecco le mie poche e povere idee in merito.

La valutazione prossima
Innanzittutto bisogna mettersi in testa che una valutazione seria è costosa e difficile. Niente nozze con i fichi secchi. Se non ci credete, chiedete pure ai colleghi inglesi che ogni 5 anni fanno il RAE (Research Assessment Exercise).

Nell'esercizio di Cuccurullo, si stimano 146.000 prodotti della ricerca da valutare, ognuno dei quali riceverà almeno 2 valutazioni da parte di ricercatori indipendenti. Supponendo che ogni revisore se ne accolli 100 (un'enormità se il lavoro va fatto seriamente), siamo a 2920 revisori indipendenti. E' realistico? Nella tabella di Cuccurullo si parla di selezionare 540 panelist e un numero imprecisato di revisori "esterni". Esterni in che senso? Tutti stranieri? Oppure ci valuteremo tutti a vicenda? Andiamo al costo: se anche tutti questi panelist e revisori accettassero di lavorare gratis (se sono stranieri, ne dubito), la valutazione richiederà un bel po' di tempo. E il tempo è denaro: se prendi una persona in gamba (per fare le revisioni servono persone in gamba, i migliori del settore) e lo metti per uno o due mesi a fare la valutazione, gli resterà poco tempo per fare altro, con un costo non indifferente per il sistema universitario. A meno che la valutazione venga fatta in maniera più superficiale, cosa abbastanza probabile. 

E chi controllerà l'uniformità di giudizio di tutti questi revisori? Se al sottoscritto capitano dei revisori "cattivi", e al collega della porta accanto dei revisori "buoni", chi si occuperà di rendere uniformi queste valutazioni? Come ogni attività umana, serve un sacco di lavoro per renderla decente.

Quindi, per farla bene servono soldi, oppure tempo che poi si traduce in perdita di produttività. Ci sono molti esempi in Europa di esercizi di valutazione. Perché non studiarli per bene prima di proporne uno fatto in casa?

Le mie idee
Ripeto, non sono un esperto, ma vorrei fissare alcune idee, alcuni paletti, e sono pronto al confronto su di essi.

1) La valutazione va fatta sul dipartimento, non sul singolo ricercatore. Per diminuire il costo, si potrebbe far scegliere al dipartimento quante persone far valutare, e chi. L'intento non deve essere quello di valutare i singoli, ma il gruppo nel suo complesso, e per fare questo non è necessario valutare tutti. Il numero di revisioni da fare diminuirebbe notevolmente rispetto al metodo Cuccurullo.

2) Gli esiti della valutazione vanno integrati in un indice unico per l'università, e i fondi vanno dati all'università, e non ai singoli dipartimenti.

Qualcuno dice che questo sarebbe un problema perché l'università potrebbe distribuire i fondi diversamente, dando di più al dipartimento che merita di meno. Vero, ma questo ha a che fare con la politica di una certa università, e non riguarda il ministero. Per esempio, il senato accademico o il consiglio di amministrazione potrebbero decidere di aprire un nuovo dipartimento, e ci vorrà un po' di tempo prima che questo diventi eccellente, quindi inizialmente una buona quota di fondi va assegnata al dipartimento nascente. Oppure, un certo dipartimento fa un ottimo servizio al territorio, ad esempio in termini di formazione e supporto alle aziende locali, ed è bene che sia ben finanziato indipendentemente dalla sua eccellenza nella ricerca. Oppure ci possono essere altri mille motivi. E se non ci sono, è compito del dipartimento svantaggiato fare in modo di contare di più politicamente in senato per poter chiedere un'allocazione delle risorse più giusta. Perché irrigidire tutto il sistema mettendo nero su bianco una volte per tutte e per tutti come distribuire i soldi? E se i soldi vanno ai dipartimenti, qual'è il ruolo del senato e del consiglio di amministrazione? Insomma, mi sembra che i problemi introdotti sarebbero maggiori del minuscolo problema che si vuole risolvere.

Un'altra critica riguarda il punto 1): se non si valutano tutti i docenti, non si sa come premiari i migliori.
La mia risposta è: all'interno di un dipartimento, tutti sanno esattamente chi lavora e chi no. Il confronto è continuo. Che sia il dipartimento, o meglio il senato accademico su consiglio dei dipartimenti, a valutare i docenti e a premiarli/punirli con un meccanismo stipendiale flessibile, come ad esempio discusso qui. Sarà più facile e più efficiente perché chi valuta ha una visone più completa della persona, data dall'interazione giornaliera. E sarà meno costoso, perché il ministero non dovrà occuparsi di ogni singolo docente. Inoltre, il dipartimento potrà valutare, se lo vorrà, anche l'impatto del docente sulla qualità della didattica e il suo contributo all'organizzazione del dipartimento e alla raccolta dei fondi, cosa che nessuna valutazione centralizzata potrà mai accertare.

Conclusioni
Riguardo alla valutazione e distribuzione dei fondi, la riforma è piena di belle parole e vuota di contenuti. I pochi passi fatti finora sembrano andare in una direzione sbagliata. Siamo ancora al punto di partenza, e chissà quanto ci vorrà ancora prima di partire.

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