lunedì 15 novembre 2010

La tenure track dei giornalisti

Vorrei commentare un'attimo questa vicenda di Paola, la giornalista del Corriere che sta facendo lo scipero della fame perché avrebbe subito un'ingiustizia: lei precaria da sette anni, è stata scavalcata da un altro, un pivello (a sentire le sue parole). Ne hanno già parlato in parecchi, perché la notizia è stato subito socialnettata (permetteremi questo orribile neologismo), e quindi facebook, twitter, tumblr e chi più ne ha più ne metta hanno rimbalzato la notizia e Paola Caruso ha ricevuto la solidarietà di molti. Ne hanno parlato Matteo Bordone e Federica Sgaggio, entrambi non tanto a favore di Paola, diciamo.

La precarietà è uno dei problemi principali della nostra epoca, uno sul quale la sinistra forse dovrebbe spendersi un attimo di più. Anzi, dovrebbe spremersi le meningi un attimo di più, perché è chiaro che soluzioni del secolo scorso (posto fisso per tutti) non sono adeguate ai tempi moderni. E neanche blaterare a vanvera di flexsecurity, che tanto per ora non sembrano esserci soldi per lo stato sociale alla danese.

Quello che mi preme dire qui è che non è importante tanto il posto fisso, quanto il percorso che si pone davanti a un lavoratore. Torno a descrivere quella che è la tenure track  per i docenti negli USA. Quando cominci il percorso accademico in una università USA dopo il dottorato, nessuno ti propone il posto fisso. Si trovano invece due tipi di "posti di lavoro": contratti a termine e tenure track. Nel primo caso si tratta di contratti di durata limitata, soprattutto per insegnare, e in parte per fare un po' di ricerca. Alla fine del contratto, una bella pacca sulla spalla, è stato bello, arrivederci. Quelli che da noi si chiamano co.co.co o co.co.pro. si avvicinano a questa tipologia.

Pure il tenure track è a termine. Però è una track verso il posto fisso. Il ragionamento è che l'università ti assume in prova e ti da circa 6 anni per mettere alla prova le tue competenze. Alla fine dei 6 anni, un comitato di valutazione interno valuta il lavoro del candidato: se lo considera appropriato, lo assume a tempo indeterminato come tenure. Se non lo considera appropriato, una bel calcio nel sedere e avanti il prossimo.

La tenure track è quindi una specie di contratto preliminare: l'Università ti dice "questa è l'asticella, devi superarla", tu hai 6 anni per allenarti, alla fine se superi l'asticella sei assunto, se no niente. Se superi l'asticella, l'Università mantiene sempre la sua promessa: non c'è bisogno di alcuna legge, nessuno fa il furbo, perché se un dipartimento decide di fare il furbo nei confronti di un candidato e si sparge la voce, l'Università potrebbe in futuro avere grossissimi problemi ad assumere candidati brillanti: chi spenderebbe 6 anni della sua vita per poi scoprire che hanno scherzato?

In Italia il concetto di tenure track è completamente sconosciuto, sia ai datori di lavoro che ai lavoratori.

Un datore di lavoro assume un giovane con un contratto co.co.co., facendogli quasi sempre capire che ci sono grandi prospettive. "Però te la devi guadagnare questa prospettiva, eh!". All'inizio, il dipendente pivellino ci crede anche alle "grandi prospettive". Alla scadenza del contratto, lui lo rinnova (magari dopo aver aspettato un po' per aggirare le leggi). Poi lo rinnova ancora, e ancora. E' da un pezzo che il giovane non più giovane non ci crede più alle "grandi prospettive". Ma aspetta ancora, in fondo ha investito parecchio tempo e sforzi, abbandonare ora sarebbe una sconfitta. Resta, sicuro che sia una questione di fila, "io sto qui e mi metto a zerbino, pulisco anche i cessi, pulisco la macchina al capo, e prima o poi toccherà a me". E un giorno scopre, dopo tanta fatica e tanto sudore, di aver sprecato tutta la tua giovinezza dietro a un pallonaro. Di chi è la colpa?

Cara Paola Caruso, ti avevano forse promesso qualcosa? Qualcuno aveva solennemente fatto una promessa che non ha mantenuto? Allora hai ragione di incazzarti e protestare, perché non è giusto prendere le persone per il culo in questa maniera.

Oppure forse nessuno ti ha mai promesso niente di concreto, solo mezze frasi qui e là. Forse sei rimasta sette anni ad aspettare il posto perché tutti gli altri fanno così, perché hai visto che la fila si muoveva, tutti quelli in fila sono stati assunti in rigoroso ordine di arrivo, e quando è arrivato il tuo turno hanno cambiato strategia. E allora, cara Paola, se nessuno ti ha promesso niente, hai poco da lamentarti. Se hai buttato sette anni al Corriere solo perché gli altri facevano lo stesso, beh hai avuto torto marcio.

Secondo me non è un problema di leggi. Non è con le leggi soltanto che si cambia la cultura di una nazione. Cominciamo con il dire a tutti i ragazzi che sono precari: pretendete una promessa da chi vi assume, pretendete chiarezza. Se non vi promettono niente, non fatevi illusioni. Se promettono e poi non rispettano la promessa, o non parlano chiaro nero su bianco, andatevene subito. Avrete messo qualcosa nel curriculum e potete cercare qualcuno più onesto. Fatelo all'inizio, mentre siete giovani. Rifiutatevi di lavorare gratis, rifiutate di essere sottopagati, rifiutatevi di far incancrenire le situazioni. Dignità prima di tutto!

Una volta ho fatto un cazziatone incredibile a un mio ex-studente perché avevo scoperto che lavorava per una ditta facendosi pagare, udite-udite, 12 euro l'ora: "non è per te che lo dico! è per la categoria! è un problema sindacale, cazzo! Se riescono a trovare un programmatore laureato per 12 euro l'ora, se un laureato in ingegneria informatica accetta lavori a 12 euro l'ora, è finita! Diventa un gioco al ribasso! ALZA IL PREZZO! Piuttosto ti faccio una borsa di studio, perdiana!" :)

Ecco ragazzi, chiedete di più, pretendetelo. Ne va della vostra dignità, della dignità di tutti.

2 commenti:

  1. Detto che sono d'accordo con il post, e in particolare sull'invito ai giovani a non farsi prendere per il naso, vorrei sottolineare che il tenure track americano non si regge sui rischi di reputazione dell'università che non assume i candidati brillanti. Potrei raccontare più di una storia di assistant professor italiani in America che avevano tutte le pubblicazioni e le lettere richieste ma, al termine della tenure track, non sono stati assunti dall'università, per il semplice motivo che la faculty non li amava e non li ha voluti. Quando succede, i costi di reputazione vanno semmai sul candidato, perché la gente si chiede "cosa avrà fatto per essere bocciato nonostante tutte quelle pubblicazioni, ecc.?". Se il sistema del tenure track americano funziona è perché c'è un mercato: tante altre università pronte a dare un'altra chance a quella persona (magari con altri 6 anni di tenure track).
    Dico questo perché non so mica se in Italia c'è un mercato capace di fare funzionare la tenure track (che sia formale, come nella riforma gelminiana, o suggerita vagamente, come capita nelle professioni precarie). E infatti, e qui mi riaggancio al caso di Paola, salta fuori spesso la pretesa (che non voglio giudicare) di una tenure track all'italiana, dove dopo 6-7 anni di precarietà acquisisci il presunto diritto sacrosanto, difendibile con sciopero della fame, a essere assunto. Il discorso vale anche per le richieste dei ricercatori precari sulla riforma Gelmini, che mirano chiaramente ad avere la sicurezza che la tenure track sfoci in posizioni di associato se uno fa il minimo richiesto. Richieste legittime, ma allora la tenure track finisce per assomigliare a un contratto di ricercatore con ope legis da associato incorporata, che non è certo il sistema americano.
    Scusa la lunghezza.

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  2. @NM: probabilmente hai ragione sulla tenure track, mi sono espresso male. Volevo dire che nessuna facoltà americana nega la tenure per questioni meramente economiche, semplicemente perché mettono i soldi a budget prima di fare la call for tenure.

    Suppongo che nell'asticella si mettano non solo le pubblicazioni, ma tutta una serie di valutazioni, tra le quale appunto anche "non mi piace come si comporta quello lì", oppure "non credo che la sua ricerca sia del tutto interessante per noi", etc. In ogni caso, hai ragione nel dire che uno che fallisce la tenure è piuttosto messo male, perché difficilmente avrà la possibilità di un'altra tenure track.

    In Italia, una cosa che manca sicuramente nella tenure track della Gelmini è che non c'è l'obbligo di mettere i soldi a budget prima, e quindi può succedere che alla fine della track qualcuno venga a dirti: "scusa, ci sono problemi di budget, abbiamo scherzato". Almeno questo bisognerebbe evitarlo, per andare a scoprire i bluff dei professori che promettono a vuoto.

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