L'articolo della Voce è condivisibile in alcuni punti e criticabile in molti altri. In particolare le proposte di riforma sono secondo me un pochino datate e stantie.
Io lavoro nell'Università da parecchi anni, e da 3 anni come professore associato in Ingegneria Informatica, uno dei settori che a mio parere potrebbe fornire un traino per l'industria italiana. Sono abbastanza giovane e non molto esperto di politica universitaria. Ho però girato molto, sia in Italia che all'estero, e mi sono fatto un'idea abbastanza precisa di come dovrebbe funzionare l'Università Italiana. Vedrò di elaborarla qui di seguito. Comincerò con una panoramica dei mali esistenti, e di quali sono a mio parere i granelli di sabbia nell'ingranaggio.
CONCORSI
Cominciamo dal meccanismo dei concorsi. Dice la Voce.info:
Perché gli atenei si sono affrettati a bandire i concorsi entro il 30 giugno? La risposta è semplice: perché con due idoneità si hanno maggiori probabilità di promuovere i candidati interni, indipendentemente dal merito.
La risposta è semplice e probabilmente sbagliata. Sarei infatti curioso di vedere un esterno che vince un concorso con una sola idoneità (io vorrei anche provare a fare un concorso da ordinario adesso, ma i bandi a idoneità unica probabilmente non li proverò nemmeno).
Il concorso sembra essere la pietra angolare dell'assunzione in un servizio pubblico come l'Università. I concorsi sono cambiati molto negli ultimi 10 anni. Nel passato (prima della riforma Berlinguer), esisteva il concorso nazionale. Chi voleva fare il ricercatore, il professore associato o ordinario doveva aspettare il concorsone. Era una macchina piuttosto grande e farraginosa. Mi sembra di ricordare che l'ultimo concorso per associato di questo tipo fu bandito a 6 anni di distanza da quello precedente. Vi immaginate un giovane ricercatore (magari perché ancora troppo giovane), falliva uno di questi concorsi? 6 anni di attesa non sono pochi.
Quindi venne la riforma Berlinguer (autonomia + doppia idoneità e concorsi locali). A questo punto le Università sbracarono completamente. Ognuno bandiva concorsi a seconda delle esigenze. I fondi però venivano distribuiti secondo un meccanismo "feed forward". In pratica, la spesa era senza controllo. Si assistette all'automatico upgrade di moltissimi associati in ordinari con appositi concorsi interni. Le esigenze venivano stabilite in base a politica interna alle varie università, senza nessun controllo a posteriori dell'efficacia delle assunzioni. Diciamocelo: la politica diede l'autonomia alle Università, e le Università la usarono nel modo peggiore.
Come funzionano i concorsi?
- Per diventare ricercatori, il concorso prevede un punteggio per i titoli. Poi ci sono 2 prove scritte (!), e un colloquio orale. Praticamente una specie di pentathlon.
- Per diventare professori associati, il concorso prevede l'analisi dei titoli, un colloquio, e una lezione. I candidati vengono avvisati il giorno prima sulla tematica che dovranno affrontare (sorteggiata tra un insieme di possibilità), e hanno 24 ore di tempo per preparare una lezione di 30 minuti circa.
- per diventare professori ordinari, si esaminano solo i titoli.
In realtà, ogni concorso riguarda un settore scientifico disciplinare. Ci sono tantissimi settori, e all'interno di ogni settore tantissime specializzazioni. Spesso non si possono confrontare i curriculum di due docenti con specializzazioni diverse. Facciamo un esempio concreto: un dipartimento di ingegneria informatica ha bisogno di rafforzare l'area di ricerca sull'Intelligenza Artificiale. Quello che l'Università può fare è di bandire un concorso nel settore ING-INF/05 (codice ministeriale per ingegneria informatica). Naturalmente si presenteranno gli specialisti più disparati, dall'esperto di Data Warehouse, all'esperto di architetture, ecc. Il dipartimento vuole quello esperto di intelligenza artificiale! (che se ne fa degli altri?). Ma se il concorso fosse fatto "secondo le regole", uno con più pubblicazioni nel settore Data Warehouse potrebbe essere valutato molto meglio di quello con esperienza in intelligenza artificiale. Teoricamente, il primo dovrebbe vincere a mani basse, e se non lo facesse, potrebbe fare ricorso e magari vincerlo.
Inoltre, la commissione è composta da un membro interno dell'Università che ha bandito e da professori esterni eletti in base a un'elezione nazionale (sembra per evitare inciuci). In generale, che ne sanno questi signori delle esigenze del dipartimento? Glielo dice il membro interno, naturalmente. E naturalmente non si evitano affatto gli inciuci, e il meccanismo di bypass potete facilmente immaginarlo.
A mio parere, questa procedura, come moltissime altre leggi italiane, mette il bastone tra le ruote di chi vuole seguire le regole, e non impedisce affatto gli abusi. L'ex ministro Mussi tuonava dicendo che avrebbe reso più seri i concorsi. Io sinceramente non credo che il meccanismo di assunzione per concorso sia in alcun modo emendabile.
E poi ci sono naturalmente moltissimi altri problemi: l'avanzamento di stipendio dei professori è fatto in base all'anzianità. I professori sono pagati dal ministero e non hanno alcun extra, indipendentemente dal loro lavoro. E altre varie magagne che evito di riportare qui per non dilungarmi troppo.
LA PROPOSTA DE LA VOCE
Vediamo ora i vari punti proposti da Daniele Checchi e Tullio Jappelli de La Voce.
1.
Già nel 2009 una quota consistente del Fondo di finanziamento ordinario, dei posti di ricercatore, dottorati di ricerca e assegni di ricerca si potrebbe ripartire sulla base del punteggio assegnato dal comitato nazionale di valutazione della ricerca (il Civr). Lo stesso Civr, che ha operato molto bene per la valutazione della ricerca nel triennio 2001-2003, dovrebbe essere prontamente messo in grado di funzionare e valutare la ricerca del triennio più recente.
Pienamente d'accordo. Non ci vuole moltissimo tempo. Bisogna metterci le risorse, però. Perché la valutazione fatta bene costa, e non poco. Si faccia una bella commissione congiunta CRUI-Ministero, e se ne discuta apertamente e il più possibile in modo pubblico e trasparente. Si potrebbe partire dalle procedure seguite in altri paesi (perfino il Pakistan!), adattandole al caso italiano. Poi il governo prenda una decisione e agisca celermente. Se il meccanismo non sarà subito perfetto, pazienza, si potrà affinare più avanti. Ma si parta presto, e con le risorse adeguate.
2.
Invece che prevedere una riduzione delle progressioni di carriera per tutti i docenti, si potrebbero bloccare le retribuzioni dei professori ordinari per adeguare agli standard europei quelle dei ricercatori, che sono invece scandalosamente basse e una delle cause della massiccia e perdurante fuga dei nostri giovani verso l’Europa e gli Stati Uniti.
Non sono d'accordo. Mi spiegherò meglio dopo, quando parlerò della mia modesta proposta.
3.
Andrebbe una volta per tutte definito lo stato giuridico dei docenti, con indicazioni precise sul carico didattico e verifiche periodiche della produttività scientifica, cui condizionare la progressione economica, adesso solo basata sull’anzianità di servizio. Per limitare il nepotismo, i concorsi dovrebbero però prevedere alcune semplici regole di incompatibilità – ad esempio che non sia possibile assumere un ricercatore nelle università in cui si è conseguita la laurea o il dottorato.
Completamente in disaccorso. Questo è una proposta di micro-management. Per valutare il lavoro di ogni docente bisogna spendere tempo e denaro. Troppo tempo e troppo denaro. Un meccanismo automatico di controllo della produttività di ogni singolo docente è impensabile, perché sarebbe totalmente inutile o troppo penalizzante. Un meccanismo più complicato (commissari, commissioni che si devono riunire, ecc) sarebbe farraginoso e costoso.
E sui concorsi, spero di essermi già espresso in maniera esauriente.
4.
Si potrebbe uniformare l'età di pensionamento dei docenti (70 anni) a quella degli altri paesi europei (tipicamente 65 anni, con facoltà di estensione fino a 67 o 68 anni per i docenti attivi nella ricerca che ne fanno richiesta), proseguendo nella direzione già iniziata dal ministro Padoa Schioppa di abolire l’istituto del fuori ruolo.
Questo punto e il successivo (che non riporto qui) sono a mio parere totalmente irrilevanti.
LA PROPOSTA
La proposta che voglio qui descrivere non è naturalmente mia. Sono idee che girano nell'aria. Se ne è parlato diverse volte nella mia università, con i colleghi. Proposte simili sono girate varie volte sul sito NoiseFromAmerika. La riporto per pochissimi punti, come fatto da La Voce.
1.
Questo punto è identico al primo punto proposto da La Voce. E' lapalissiano che bisogna distribuire in base al merito, e richiesto a gran voce da quasi tutti i docenti che conosco. Vedere anche i vari post di Alfonso Fuggetta al riguardo.
2.
Abolizione dei concorsi locali e procedure di assunzione sempre per chiamata diretta (come nel mondo anglosassone). Si può fare un unico concorso nazionale annuale di "abilitazione", da cui si crea un pool di buoni professori che potranno (ma non obbligatoriamente) essere assunti dalle varie università italiane per chiamata diretta (è così che fanno in Spagna). Notare che l'abilitazione nazionale non garantisce il posto. Nè l'assunzione deve necessariamente essere a tempo determinato o indeterminato.
3.
Contratti di diritto provato tra Università e professori (entro certi limiti min/max di stipendio). Starà alle Università migliori garantire le "tenure track" per le persone importanti, oppure dei posti a tempo determinato per coprire le esigenze didattiche. Diamo alle Università la possibilità di dare contratti con premi di produzione, oppure premi per chi porta più "fondi" di ricerca. Diamo alle Università l'opportunità di chiamare personalità famose dall'estero. Insomma, mano libera sulle retribuzioni. Questo è l'unico serio modo, a mio parere, per fare concorrenza alle Università europee e per fermare o addirittura invertire la fuga di cervelli.
COMMENTO
Perché potrebbe funzionare? Chi assume dei cretini raccomandati avrà problemi a mantenere un certo livello di qualità nella produzione scientifica e nella qualità della didattica, quindi la sua Università beccherà meno soldi dallo stato e attrarrà meno studenti.
E quindi il senato accademico starà molto attento a chi chiamare, per non mettersi in casa delle "palle al piede". Le Università avranno il modo di assumere chi vogliono senza vincoli "fittizzi" di concorso. La qualità minima sarebbe comunque garantita dall'abilitazione nazionale. E potranno pagare di più chi ritengono più importante, raccomandato o no. Chi assume raccomandati incapaci, prima o poi porterà giù la propria Università: avrà problemi ad attirare giovani bravi a motivati, avrà meno tesisti e dottorandi, etc.
La valutazione della produttività di ogni singolo docente (oppure di ogni dipartimento, o gruppo di ricerca) sarebbe così portata avanti da ogni singola Università. Niente micro-management a livello ministeriale, con una notevole riduzione dei costi. I fondi ricevuti dallo stato potranno a quel punto essere re-distribuiti secondo logiche interne all'Università. Mi aspetto che le Università migliori si auto-organizzino per distribuire internamente il budget in base al merito individuale o di gruppo.
CONCLUSIONI
A me sembra l'uovo di Colombo. Mi rendo conto di avere una visione parziale (il settore di Ingegneria Informatica è il mio riferimento). Mi chiedo come tutto ciò potrebbe funzionare in settori più tradizionali (come ad esempio Lettere e Filosofia, Medicina, Giurisprudenza, Economia, ecc.).
Mi rendo anche conto che passare dal nostro modello attuale (statalista all'italiana) al modello che propongo (decisamente anglosassone) sia molto difficile, e imponga una difficile fase di transizione. Forse questa proposta non è affatto modesta. E' però necessario, secondo me andare in questa direzione per rispondere alle sfide della società moderna. Sinceramente penso che altre riforme stataliste avrebbero lo stesso effetto di un'aspirina data a un malato grave.
Vengo qui via DestraLab.
RispondiEliminaCondivido tutto ciò che proponi.
Una domanda: non pensi si possano privatizzare le università? Non pensi che ciò che proponi, la chiamata diretta dei docenti e il pagamento di somme differenziate, possa essere più agevolmente raggiunto, mediante privatizzazione degli atenei?
Lo stato risparmierebbe, i pensionati non sarebbero costretti a pagare un "servizio" che non usano. I danari risparmiati potrebbero essere impiegati per investimenti, e per istituire cospicue borse di studio per i meno abbienti meritevoli.
No?
Ciao
vorrei prima fare una premessa, per chi ci legge, a parte te e me. Io non ritengo tutto quello che linko assolutamente incontrovertibile o non criticabile. A volte lo commento, a volte lo critico, a volte lo uso solo come spunto di una possibile provocazione, discussione etc etc. Altra cosa è quello che scrivo io. Non da ora (gelmini ministro)e non da quando commento sul sito del prof. Fuggetta ho cercato di puntare l'attenzione sul problema scuola nel suo complesso.
RispondiEliminaTutti quelli che hanno a cuore l'argomento credo riconoscano, in primis, che il problema esiste: la nostra scuola, nel suo complesso, università compresa (con le ovvie eccezioni delle eccellenze) funziona male, con una qualità complessiva più scadente nel meridione. Non permette ai meritoveli di essere premiati, quello si spende (globalmente siamo in media Ocse) non si riesce a trasformare in qualità né per chi studia né per chi insegna.
Tutto indica chiaramente che esistono necessità e spazio per una migliore allocazione delle risorse, che si deve e si può migliorare l’efficacia della scuola, e che l'efficacia non è strettamente collegata all'utilizzo di maggiori risorse. Farebbe piacere a tutti ovvio averne a disposizione.
Nel merito sul 1. punto mi sembra che siamo tutti d'accordo. idem sul 2. anche se adesso sembra una chimera ed è possibile procedere in questa direzione, vedendo la risposta delle università italiane alla proposta di creare delle fondazioni (il prof su questo argomento, procedure di assunzione per chiamata diretta e meccanismi di verifica della qualità ne ha parlato ampiamente, prima della Gelmini). il 3 punto e strettamente collegato al 2.
Ma uno degli aspetti che mi sta più a cuore, anche se non sembra essere collegatodirettamente collegato a quello che dici, avendone invece una ricaduta importantissima e che non posso tralasciare di evidenziare è che si deve fare di tutto permettere alla scuola del sud nel suo complesso di raggiungere un livello di "decenza", perché attraverso questo passa l'unica possibilità e speranza di crescita futura di queste zone del paese.
Situazione di arretratezza (oggettiva) che non è solo legata a problemi specifici di
carenza di infrastrutture, attrezzature e di situazione sociale delle famiglie. Per
accompagnarla e per sperarci serve, specie nel Sud, una forte mobilitazione politica e culturale che, sulla base di obiettivi credibili di cambiamento crei davvero dei meccanismi di valutazione indispensabili per innalzare la qualità del servizio, favorendo il rafforzamento del rapporto fiduciario tra lo
Stato e la scuola (o in certi casi ricreandolo di sana pianta). Per arrivare ad attivare veramente delle aspettative positive nell'opinione pubblica. In conclusioni per me vanno bene le discussioni tra di noi, anche gli eventuali "scazzi" (non mi riferisco a questa occasione, dato che mi sembra proprio che le nostre opinioni non differiscano di molto), se non ci si pone pregiudizialmente e servono sicuramente molto di più che non parlarne affrontandosi a colpi di preconcetti. I recenti report Ocse, dimostrano dati alla mano che abbiamo, purtroppo, una delle scuole meno efficienti a fronte di un'opinione pubblica (genitori compresi) tra le più soddisfatte.
intendevo: direttamente collegato a quello che dici...
RispondiElimina@camelot: una risposta alla tua domanda richiede un po' di tempo, e adesso vado di fretta. Comunque credo fermamente nelle università pubbliche, così come credo ci possa essere una buona università privata. Il perché e percome spero di argomentarlo più avanti!
RispondiElimina@destralab: io penso che, se si sgombera il campo da polemiche politiche pretestuose, ci siano tantissimi punti di incontro tra persone di destra e di sinistra, e tra persone del nord e del sud.
Io sono di Marsala, il sud più profondo che c'è. Ci sono nato, e ci ho vissuto per metà della mia vita, ci torno ogni anno per almeno un paio di volte.
I problemi del sud, ed in particolare della sicilia (che io credo faccia caso a se rispetto alle altre regioni) sono complessi, e la scuola ne è solo un pezzettino. Adesso scappo, un discorso lungo e complicato richiede tempo. Ne riparleremo, spero!
anche io ero di fretta, cmq, nel merito dell'articolo della Voce, condivido totalmente la critica alla corsa a bandire i concorsi, che è una critica puntuale alle resistenze di molti burocrati che non credono alla concorrenza meritocratica (direbbe Alesina) e a quei professori che difendono posizioni corporative di conservazione e che hanno guardato e guardano più ai loro interessi che a quelli dell'università
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