giovedì 26 giugno 2008

Perché non sono (ancora) emigrato all'estero

Tanti mi hanno chiesto e mi chiedono più che mai: "come mai sei rimasto in Italia?" Oppure mi consigliano con piglio deciso: "dovresti emigrare! Per quelli come te qui non c'è spazio!"

Cerco qui di dare una risposta faticosa, che sarà tutto tranne che definitiva (essendo un relativista fondamentalista, mi riservo il diritto di cambiare idea come più mi aggrada!)

Innanzitutto vediamo le possibilità. Sono stato un "visiting student" negli USA, e ho girato alcune università europee per collaborazioni, lectures e project meetings.

Negli USA. Alla fine del mio dottorato ci ho pensato seriamente. Avrei potuto cominciare da una piccola università: avevo avuto un'offerta informale dall'University of Nebraska (che chiaramente non era questa bellezza), oppure provare il colpaccio in una grande un'università (un mio collega di dottorato è riuscito all'University of Illinois at Urbana Champaign - UIUC). Ci ho pensato a lungo. In USA si lavora molto bene. Raramente ti rompono le scatole con roba troppo burocratica. La paga è più che buona (anche se inferiore all'industria). Le soddisfazioni sarebbero state moltissime (forse).

Poi ho deciso che non faceva per me, e non ho fatto alcun colloquio. Non mi convinceva tutto il resto. Gli americani lavorano come muli, sacrificando parte della vita privata. Un paio di settimane di ferie l'anno sono sufficienti per loro. L'ambito culturale è completamente differente, non esiste il concetto di "piazza" di una città, o di passeggiata in centro. Il concetto di amicizia è molto personale, one-to-one, non esiste il "gruppo di amici". Gli americani sono quasi tutti sradicati: nascono nella west-coast, poi si spostano nella east-coast, o viceversa. Raramente più di 10 anni in un posto. Noi italiani da qui ci immaginiamo gli USA un po' come noi, a causa dei film e della TV. In realtà quando sei lì ti sembra davvero un'altro pianeta. Mi sembrava di vivere in un film americano.

Insomma, ho pensato: "è qui che vuoi far crescere i tuoi figli?" e mi sono risposto "decisamente no". Con tutto che ho lasciato lì degli amici meravigliosi che mi mancano molto (uno su tutti!).

In Europa. Qui il discorso si fa più difficile. Ho ricevuto una proposta informale da una università svedese. Gli svedesi sono sempre alla disperata ricerca di qualcuno che voglia andare da loro. Ma la Svezia proprio no, troppa poca luce d'inverno, troppo freddo (dentro e fuori).
Altri paesi li potrei prendere in considerazione molto seriamente (ogni tanto ci penso). Germania, UK, Spagna, Francia (in quest'ordine). Ho amici in Germania, inutile dire che si trovano molto bene, e anche in Spagna. Certo, prendere una decisione del genere non è affatto facile. Muovere la famiglia (i bimbi sono piccoli ancora), andare lontano dagli affetti, cambiare approccio alla vita. E poi ci sono altre ragioni che spiegherò dopo.

Nostalgia canaglia. Gli amici "tedeschi" però ogni tanto parlano di rientrare. E anche il mio amico a UIUC farà un sabbatico da noi ora che ha preso la tenure.
Come mai? Si sta male lì da loro?
Secondo me è una domanda mal posta. Come potete immaginare, non esiste solo la soddisfazione nel lavoro. Un italiano che vive lontano dal proprio paese sente sempre la mancanza della propria cultura. Si riempiono le case di forme enormi di parmigiano, e la macchinetta del caffé (sacra!), e la parabola per vedere Rai International. Se le soddisfazioni lavorative e il cerchio di amicizie che si creano riescono a compensare il gap culturale, la nostalgia è più facilmente sopportabile. Se la cultura del paese "ospitante" è molto diversa da quella italiana, invece, la nostalgia si fa più pressante. Infatti, mentre i miei amici "tedeschi" vorrebbero rientrare, i miei parenti e amici che vivono in Spagna sentono molto meno la nostalgia.

E chi non può rientrare? Certa gente purtroppo vive la lontananza con vero astio e dolore. Non ne vogliono nemmeno parlare, e se lo fanno sputano fiele. Come fossero esiliati. Davvero non li invidio.

In Italia. Dal punto di vista lavorativo, non posso dire di trovarmi male, sarei un ingrato. Ho fatto una buona e veloce carriera, perché sono stato molto fortunato oltre che bravo. Vivo in una cittadina piccola ma non troppo, e tranquilla (come ho sempre desiderato). Lavoro in una delle migliori Università di questo paese. Sono circondato da ottimi colleghi. Ho avuto e ho studenti intelligenti. Abbiamo un gruppo meraviglioso e un ambiente fantastico al nostro laboratorio. Ho diversi progetti Europei, e un bel po' di fondi a cui attingere. Se metto tutto ciò a paragone del livello medio dell'Università italiana, non posso davvero lamentarmi. E poi, ho sposato la donna che amo, ho dei figli bellissimi.

Tutto bene allora?

La vita civile. Non proprio. Da alcuni anni l'ambiente civile italiano si è particolamente guastato. Non che sia mai stato una meraviglia, per carità. Ultimamente però la situazione si è degradata oltre misura. Più di tutto mi sembra che non esista più il futuro. Non si parla mai di quello che succederà in Italia fra 10, 20 anni. Non ci sono progetti a così lunga scadenza, da nessuna parte. Tutti si aspettano di avere tutto e subito. Non esiste più neanche il passato, se non in una stanca e sciatta "nostalgia" degli anni '60, '70, '80, e ora perfino degli orribili anni '90.
E' chiaro che per una persona che dovrebbe fare ricerca il futuro è tutto. Se mi cancellate il futuro, cancellate la mia ragione sociale.

Gli italiani vivono in un eterno presente, immobili, imprigionati. Come se qualcuno ci avesse legato ad una sedia e imbavagliato davanti a una TV e ci facesse vedere un film, sempre lo stesso, all'infinito. Berlusconi, D'alema, Rutelli, Fini, Casini, Mastella, sempre gli stessi, perfino Andreotti e adesso Emanuela Orlandi e Marcinkus. E poi Baudo e la Carrà, e Mike Buongiorno. E Vespa, l'odiato Vespa. E Biscardi, ho visto Biscardi l'altra sera in TV. Vedrete che tra un po' ritorna Moggi, magari a commentare le partite in TV insieme a Salvatore Bagni. "A volte ritornano" in Italia si trasforma in "Ritornano sempre". Gli scandali si susseguono ma non si scandalizza ormai più nessuno. Niente importa più veramente se esiste solo il qui e ora. Si vive come in apnea. Aspettando che "passi la nottata". E intanto tutto si sgretola intorno a noi.

Si può vivere senza futuro? E' un vivere ben triste.

Io ci provo continuamente ad immaginare un futuro. Ci provo, vi assicuro. Come saranno i miei figli da grandi? Come e dove sarò io tra 10 anni? Ma non sempre mi rispondo "in Italia".

4 commenti:

  1. Per andare fuori bisogna avere delle ottime ragioni, non delle buone ragioni per restare. :)

    Da quel che hai scritto, nelle tue condizioni farei lo stesso, rimarrei, almeno per il momento, in Italia.

    Però l'idea di far crescere all'estero, con scuole diverse da quelle italiane con una mobilità sociale molto più forte (almeno negli Usa) mi attirerebbe.

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  2. Ti capisco benissimo anche perché io sono uno di quelli che ha scelto "momentaneamente" di stare all'estero. L'Inghilterra per quanto mi stia dando molto non è fatta per un italiano. Mi lamento spesso di questo paese, ma ogni volta che torno in italia non vedo l'ora di tornare in Inghilterra. Si arriva ad un punto tale per cui non si è più cittadini italiani ma neanche inglesi. Si vive in un limbo, in un paese utopico, in un Italia "che vorrei ma che non sarà mai".
    Io voglio tornare in Italia anche perché voglio essere parte del cambiamento che voglio veder avvenire nel mondo (cit. Gandhi).
    Vorrei utilizzare le conoscenze e l'esperienza che ho preso all'estero per fare qualcosa.

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  3. @fabristol: grazie per il contributo! il problema è che una volta che terni in italia, cercano in tutti i modi di spegnerti l'entusiasmo. Appena posso, un post su quello che ci/ti aspetta come ricercatore nell'Italia di Tremonti.

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  4. Ho letto il tuo post con lo sguardo di uno studente universitario ventenne e si sa, i ventenni sono sfacciatii. Quando ho notato che la data del post si aggira agli ultimi di giugno non sono riuscita a trattenermi dal ridere. Nulla di personale, intendiamoci, stavo solo immaginandoti intento a leggere la legge 133, in uno a di quei dì di luglio e agosto in cui venne stilata per bene e approvata.
    Te lo chiedo un pò per cieca curiosità irriverente, un pò perchè studio alla Sapienza da due anni con l'intento di diventare ricercatrice in campo farmacologico. E se proprio devo essere sincera,il mio sogno è fare la specialistica all'estero e da lì non tornare mai più in italia :) unica pecca: il caffè, ti do ragione, ma una soluzione si troca;)

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