Oggi è stata una di quelle giornate in cui ho galleggiato tutto il giorno senza combinare granché. Ho partecipato a un meeting telefonico poco impegnativo. Ho dato le correzioni della tesi di dottorato a uno studente descrivendogli come vorrei impostasse alcune cose. Ho risposto a un paio di e-mail dalla pila, un altro paio di servizi da 10 minuti l'uno. Quindi mangiare a mensa (il resto della famiglia al mare, beati loro). Nel pomeriggio, brain storming su argomenti di ricerca.
[ In realtà brain storming è proprio una brutta espressione e inadatta in questo contesto. Diciamo che ho ragionato molto pacatamente insieme e liberamente a Nicola e Tommaso e Antonio di possibili direzioni che alcuni lavori teorici e pratici potrebbero prendere. Parlando di ricerca con altri, mi si chiariscono le idee. A volte, ne nascono delle nuove, mi si aprono scenari, possibili evoluzioni, capisco io stesso meglio quello che voglio dire e le possibili implicazioni. Senza parlare degli errori che gli altri scoprono sulle mie elucubrazioni. ]
Dopo la discussione, ho vagato su Internet per quasi un'ora a mente quasi spenta.Mi piace galleggiare così. Dovrei farlo più spesso.
In realtà, secondo me il lavoro del ricercatore universitario (ma anche di quello industriale) dovrebbe essere almeno al 30% fatto da momenti come questi. Il 30% del proprio tempo dedicato a pensare liberamente. Cazzeggio libero. Senza un vero e proprio obiettivo specifico, altrimenti che "ricerca" è?
Invece, sempre di più il ricercatore deve "produrre" risultati concreti e misurabili, che abbiano impatto. Ci chiedono di collaborare con le aziende, di non restare sul mondo delle nuvole, di renderci concreti e applicabili. Di produrre risultati tangibili. Ci misurano. Anzi, ci chiedono di misurarci da noi stessi, così costa meno. Riempire relazioni su relazioni, tabelle, costi orari, elenchi di risultati e pubblicazioni.
Al ricercatore industriale non va meglio. L'azienda vuole sapere come spende i suoi soldi, alla fine dell'anno bisogna misurare quanto ha prodotto sto benedetto ricercatore.
Invece, sempre di più il ricercatore deve "produrre" risultati concreti e misurabili, che abbiano impatto. Ci chiedono di collaborare con le aziende, di non restare sul mondo delle nuvole, di renderci concreti e applicabili. Di produrre risultati tangibili. Ci misurano. Anzi, ci chiedono di misurarci da noi stessi, così costa meno. Riempire relazioni su relazioni, tabelle, costi orari, elenchi di risultati e pubblicazioni.
Al ricercatore industriale non va meglio. L'azienda vuole sapere come spende i suoi soldi, alla fine dell'anno bisogna misurare quanto ha prodotto sto benedetto ricercatore.
Invidio infinitamente il mio padre putativo Sanjoy Baruah per come lavora a UNC. Praticamente ha minimi obblighi con la faculty, e per il resto ricerca quello che gli pare. E produce davvero! Basta vedere la sua lista di pubblicazioni. Ma sono casi sempre più rari. Non è solo una tendenza italiana. L'altra sera ero a cena con Bran Selic e altri. Bran ha dato un keynote a ECRTS 07 che si è svolta qui a Pisa. Tra un bicchiere di vino e l'altro, Bran ci diceva che in USA si lavora male. Gli americani lavorano troppo e troppo freneticamente. E soprattutto, le aziende di SW americane non programmano più ricerca a lungo termine, a parte alcune notevoli eccezioni. Sono guidate dalla borsa, vogliono risultati subito, a breve termine, perché devono far vedere che i soldi investiti nella ricerca fruttano, e subito. La maggior parte della ricerca ha orizzonte di un anno, due anni al massimo. E se i risultati non arrivano subito, si cancella il progetto in un batter d'occhio.
Sono finiti i tempi in cui società come Bell Labs assumevano gente come Ullman per fargli fare quello che voleva. Ora bisogna produrre. E non lasciatevi abbagliare da Google che assume gente come Vinton G. Cerf per fare il Chief Evangelist. Quello è solo marketing!
Nessun commento:
Posta un commento
Attenzione: I commenti a vecchi post potrebbero essere moderati