"Promette che questa volta non ci saranno tagli per la cultura, la scuola e la ricerca?
Mi prendo l'impegno: se ci saranno dei tagli mi dimetto"Naturalmente, lui è pronto a negare che ci siano stati tagli e, forse, dati alla mano e con l'aiuto di un capace ragioniere, potrebbe anche provare a dimostrare di avere ragione. Fatto sta che l'Università italiana, nel suo complesso ne esce ancora una volta con le ossa rotte.
Prendiamo questo articolo di Walter Tocci. A scanso equivoci: si tratta di un articolo di un PD-ino, sull'Unità, giornale del PD. I numeri che riporta sono tragici e purtroppo veritieri:
Negli ultimi cinque anni i professori sono diminuiti di diecimila unità e la dinamica proseguirebbe allo stesso ritmo con le regole previste dalla legge di Stabilità. Nel decennio 2008-2018 avremmo una riduzione complessiva di circa ventimila unità – un docente su tre – con una radicale riduzione dell’offerta didattica e della qualità della ricerca.Non mi venite a dire, per favore, che ridurre i docenti di un terzo possa essere considerato, non dico un "investire nell'Università", ma neanche un "evitare tagli".
Se anche uno possa essersi convinto dalla retorica del precedente ministero Gelmini che la maggior parte dei docenti italiani sono inadeguati, e che quindi una profonda riforma meritocratica fosse necessaria, non vedo come "ridurre i docenti di un terzo" possa essere considerato un passo in questa direzione. Soprattutto perché questa riduzione è avvenuta con l'utilizzo furiosamente punitivo del blocco del turn-over: per ogni 5 docenti che vanno in pensione se ne può assumere solo uno. Quindi alt ai giovani meritevoli. Per darvi un'idea della "tragedia", guardiamo i numeri dell'Università Federico II di Napoli, segnalato da Francesco Buscemi sul Il Post:
Facciamo un esempio per rendere un po’ più chiara questa complessa situazione. In assenza del blocco del turn over, l’università di Napoli “Federico II” avrebbe avuto più o meno 143 punti organico, equivalenti a circa 143 ordinari che andavano in pensione per l’anno 2012. Con il turn over al 20 per cento quei punti organico scendevano a poco più di 28. Applicando l’indicatore imposto dal decreto ministeriale della ministra Carrozza, i punti per l’ateneo napoletano scendono ancora di più, fino a 9,8.In pratica, per 143 professori ordinari che vanno in pensione, la Federico II potrà assumerne "quasi" 10, oppure un pochino più di associati. Ed è inutile sostenere che si tratta delle regole "meritocratiche" del ministero: quasi tutte le università italiane hanno visto e continueranno a vedere drasticamente ridotto il numero dei loro docenti, chi più chi meno. Ed è difficile sostenere che il "cattivo" comportamento delle passate amministrazioni della Federico II possa spiegare una bastonata di codeste dimensioni, a meno che non si voglia sostenere che bisogna chiudere in blocco le Università del sud.
Per chiudere il cerchio: è stato annullato il programma PRIN per finanziare progetti di ricerca; ed è stato annullato il "premio" di 41 milioni alle università "virtuose", ovvero quelle che si erano classificate meglio nel ranking della valutazione VQR. Dov'è la meritocrazia?
Abilitazioni
Per chi poi aspira a uno di quei pochissimi posti che saranno messi al bando per rimpiazzare i tanti docenti che andranno in pensione, la situazione è drammaticamente incerta.
Infatti per diventare docente in Italia è adesso necessario ottenere l'abilitazione nazionale. Il primo bando per abilitazione è partito nel'ottobre 2012, e nelle intenzioni del ministero e della legge Gelmini ci dovrà essere un bando simile ogni anno. E infatti, ne hanno bandito uno per il 2013, peccato che non si abbiano ad oggi i risultati di quello precedente. Il numero di domande è infatti stato enorme come c'era da aspettarsi dopo tutti questi blocchi. La cosa però davvero incredibilmente italiana è stata l'impreparazione del ministero e dell'ANVUR di fronte a questi numeri, che ripeto erano ampiamente previsti. Impreparazione che ha ritardato tutte le procedure barocche che erano state messe in campo.
L'ANVUR inizialmente aveva pensato che sarebbe bastato calcolare degli "indici bibliometrici" per ciascun candidato, e quindi decidere il risultato dell'abilitazione con delel semplici formule matematiche. Anche qui non si possono non rilevare il dilettantismo con cui è stata affrontata la questione: dopo mille peripezie, il ministero ha infine raccomandato alle commissioni di esprimere un giudizio personalizzato per ciascun candidato. Nel mio settore, una commissione di 5 elementi dovrà esprimere quasi 1500 giudizi, da cui l'enorme ritardo. I primi risultati erano attesi per fine maggio, ma di rinvio in rinvio, la deadline è adesso spostata al 30 Novembre, e chissà se sarà rispettata. Per non parlare dell'incredibile incertezza normativa, si attendono ricorsi a pioggia. Per non parlare della buffonata dei cosidetti "settori non bibliometrici".
Il ruolo del governo e del PD
L'articolo di Walter Tocci che ho linkato poco più su mi ha procurato parecchio mal di pancia. Infatti, Tocci denuncia la situazione e dichiara che il PD si batterà per porre degli emendamenti.
Ma il presidente del consiglio è del PD; il ministro dell'Istruzione è del PD (in particolare è stata eletta capolista in Toscana). Niente ministri tecnici dunque. La maggioranza assoluta alla camera è del PD e di Sinistra e Libertà. Se davvero il PD è "contro" questa legge finanziaria per quanto riguarda i tagli all'Università, come mai il governo a maggioranza PD l'ha proposta?
E quindi, si ritorna a bomba: qual'è l'indirizzo politico del PD sulla questione? Niente è dato sapere. E io mi sono sinceramente stancato di questo doppio gioco, del partito di lotta e di governo. Di Letta che promette dimissioni che non arriveranno, e di Tocci che promette lotte in parlamento che non ci saranno. Ripeto: sono sinceramente stanco di tutto ciò.
Il ruolo dell'Europa
Si dice che l'Europa ci impedisce di investire per vincoli di bilancio. I tagli sarebbero inevitabili dunque per rientrare nei parametri e per ottenere la benevolenza dei potenti europei.
Se anche uno volesse seguire la retorica dei tagli e della disciplina di bilancio, è però necessario riservarsi una via d'uscita, perché altrimenti, nel momento in cui i tagli avranno avuto il loro supposto (ed improbabile) effetto benefico sull'economia, bisognerà avere qualcosa con cui ripartire.
Ci vuole quindi un indirizzo "politico", ne abbiamo disperatamente bisogno. È bene dirlo chiaramente: non possiamo fare granchè, e non possiamo "investire" in niente. Quindi, la domanda è: dove tagliare selvaggiamente, e cosa salvare per il futuro? Non tutte le scelte sono equivalenti. Mentre i paesi del nord continuano a investire (o anche a non-disinvestire) in ricerca, noi invece stiamo distruggendo l'Università pubblica.
È urgente rispondere alla seguente domanda: con chi vogliamo competere nel futuro? A seconda di come intendiamo rispondere a questa domanda, bisognerà capire quali settori conviene "salvare" dai tagli sanguinosi che l'Europa ci impone. Vogliamo forse competere nel settore manufatturiero? I nostri competitori sono quindi i paesi emergenti, Cina su tutti. È una scelta perdente a detta di tutti. Converrebbe investire nell'innovazione, nel "cervello" che guida il settore produttivo. Serve quindi ricerca e Università.
Vogliamo competere nell'agro-alimentare di qualità? Potrebbe essere una scelta, io sinceramente la vedo nettamente perdente, per tanti aspetti: su tutti, il fatto che il settore è ampiamente e abbondantemente supportato a livello europeo, e probabilmente non lo sarà ancora a lungo. Inoltre, mi dispiace dirlo ai tanti che credono nelle cose "naturali", l'agro-alimentare di qualità si fa con la ricerca e con la chimica, sia essa "bio" o "ogm", volenti o nolenti. Quindi, anche qui, servono ricerca e Università.
Vogliamo competere nel turismo culturale? Vanno allora presi una serie di provvedimenti "forti" che facciano in modo che i musei italiani possano essere competitivi con Louvre, British Museum, etc. Non abbiamo bisogno che Salvatore Settis si metta a strillare sulla Repubblica di lesa maestà (leggere la risposta più che convincente di Ivan Scalfarotto sul Post), ma rimboccarci le maniche e far fruttare il settore per come si deve. In ogni caso serviranno competenze alte in questo settore, non solo cuochi e camerieri. Competenze che non ci mancherebbero, dato che uno dei vicedirettori del Louvre è una italiana.
In ogni caso, mantenere un fertile terreno per la ricerca italiana è indispensabile se vogliamo riprenderci, quando e se usciremo dalla crisi. Ed è inutile fare tanti giri di parole: la ricerca in Italia è fatta nell'Università pubblica, perché la ricerca privata quasi non esiste.
Ed infine, è bene dirlo chiaramente. Non bastano pochi centri di eccellenza circondati dal deserto: serve massa critica, servono tanti laureati capaci, servono tanti giovani con tanta voglia di fare, ma tanti tanti.
Conclusioni?
L'università italiana sta per essere fortemente ridimensionata. Non servono strane riforme più o meno meritocratiche, a mio parere. Serve invece che la smettano di tagliare, quanto meno per preservare i livelli esistenti. E per mantenere l'esistente non servono tantissimi soldi, e sono sicuro che l'Europa capirebbe. Ed è molto più importante della discussione sull'IMU.
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